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Economia circolare nel borgo

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Urbanistica Sostenibile: si può fare!


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Entro i prossimi 10 anni dovremmo dimezzare lo spreco pro capite globale di rifiuti, raddoppiare la produttività agricola su piccola scala e raggiungere l’uso efficiente delle risorse naturali. Sono solo alcuni degli obiettivi stabiliti dall’ agenda 2030 delle Nazioni Unite, limiti che non sono i dettami di un’istituzione capricciosa ma piuttosto i requisiti minimi a cui tendere per la nostra stessa sopravvivenza. Inutile dire che siamo mediamente indietro, con un ritardo significativo già sull’ agenda 2025. Cosa significa? Che nel poco tempo a disposizione dobbiamo analizzare e ripensare al nostro modo di produrre e utilizzare energia, a come smaltiamo i nostri rifiuti, al nostro modo di muoverci in piccola e larga scala, addirittura al modo in cui costruiamo le nostre case, utilizziamo gli spazi, al nostro modo di vivere come comunità.

Proprio di spazi e di modi di vivere si occupa l’ urbanistica, una disciplina che ha avuto negli anni una cattiva reputazione ma che grazie alle moderne tecnologie e alla spinta creativa di qualche ingegnere illuminato sta riacquisendo utilità e quindi valore. L’urbanistica si occupa delle città, e le città d’altra parte sono il nostro contesto, disegnano la nostra quotidianità, dettano le nostre opportunità o difficoltà, producono il nostro angolo di visione del mondo… insomma formano il nostro substrato senza nemmeno rendercene conto. La revisione delle città è sempre stato un argomento importante nell’ ultimo secolo: le grandi città del mondo si sono sviluppate così come le conosciamo durante la grande rivoluzione industriale, e ben presto ci si è resi conto di come la loro struttura fosse estremamente insostenibile. L’urbanistica ha quindi cercato di dare nuova vita alle città, succube però della stessa visione industriale. Queste città sono quindi cresciute aggiungendo asfalto all’ asfalto, strutture di fianco ad altre strutture, nuovi quartieri residenziali al posto di terreni in disuso. Dal fallimento di questo modello è nata così una visione più matura di urbanistica, incentrata soprattutto sul concetto di sostenibilità. Un’ utopia? No, per nulla. Ecco qualche esempio virtuoso delle possibili città del futuro – nel nostro presente.





Le Città e l’ Acqua

Rotterdam è 5 metri sotto il livello del mare, sfinita ormai dalle incursioni dell’acqua con ciclici allagamenti in diversi quartieri della città. Invece di costruire dighe o muri, Rotterdam ha finalmente capito che l’acqua è un elemento della città, e che il fatto che le piazze siano allagabili non è un problema se tale allagamento viene coordinato e gestito con intelligenza. Ecco quindi che le piazze di Rotterdam, incavate al centro come a formare una piscina, all’ occorrenza diventano casse di compensazione dove stoccare temporaneamente l’acqua, evitare l’allagamento diffuso e al contempo alleggerire il sistema fognario della città.







Le Città e l’Energia

L’esempio più emblematico è probabilmente Friburgo, che produce 4 volte l’energia di cui ha bisogno grazie a pannelli solari posizionati sui tetti di ogni casa. La “solar city” dimostra come non solo questa idea sia possibile, ma come questo modello promuova uno stile di vita migliore: gli abitanti del quartiere hanno infatti ingenti risparmi energetici e possono utilizzare l’energia d’avanzo per sostenere le attività e le strutture pubbliche della città (come illuminazione, palestre, scuole, biblioteche, cinema) o per rivenderla, traendone profitto. Non solo non sfrutta le risorse naturali, ma le risarcisce creando autonomamente energia.



Le Città e l’ Agricoltura

Hackney viene chiamata anche “la città edibile”. Da quartiere malfamato di Londra è riuscito a riscattarsi non tramite ingenti investimenti in opere pubbliche e iniziative di riconversione, ma grazie a un mezzo gratuito e sostenibile: la natura. Il quartiere è stato trasformato in una grande mensa a cielo aperto, creando piccoli e grandi orti disseminati in tutto il quartiere: si possono letteralmente staccare degli ortaggi dai muri e mangiarseli a passeggio. Questo ovviamente non solo ha migliorato la qualità della vita degli abitanti, ma è diventato un volano per il turismo, attirando i più curiosi.







Le Città e la Distanza

Il modello vigente in Italia e nel mondo consiste in grandi città attrattive circondate da periferie malfamate e scarne, piccoli paesi lasciati in “stand-by” senza futuro, da cui le nuove generazioni scappano per sovrappopolare ulteriormente i grandi centri. Ce ne siamo accorti tutti, soprattutto quando a causa dell’emergenza il nostro spazio si è ridotto alla nostra casa e il nostro mondo si è ridotto al nostro vicinato. A quanto dista il panettiere più vicino? Quanto spesso ci ritroviamo costretti a utilizzare la macchina per fare la spesa? Quanto dobbiamo camminare per raggiungere la pista ciclabile dove fare sport lontani dalla frenesia della città? Ecco che molti studiosi hanno teorizzato “la città dei 15 minuti”, quartieri o un paesi autosufficienti “che riducano la loro forsennata mobilità centripeta e che agevolino una mobilità più misurata garantendo la risposta a molti bisogni entro un raggio di 15 minuti a piedi. Servirà quindi estendere lo spazio domestico ampliando quegli spazi intermedi che possono consentire una vita di relazioni in sicurezza: allargare i marciapiedi e prevedere pedonalizzazioni temporanee per ampliare gli spazi per il gioco e l’attività fisica dei bambini, realizzare nuovi interventi di urbanistica tattica per la collocazione di sedute anche per i bar e i ristoranti che dovranno garantire il distanziamento. Portare il teatro e il cinema nello spazio pubblico, riutilizzare edifici dismessi per accogliere funzioni condivise. Una sorta di fascia osmotica che dia forma a quel concetto di “nei pressi della propria abitazione” che ha caratterizzato la quarantena e che potrebbe diventare un progetto di città, riempiendo questi pressi di orti, di attività produttive e di spazi per una vita relazionale sicura perché distribuita.” (cit. prof Maurizio Carta)



L’Italia da questo punto di vista parte avvantaggiata. Sì, perché ciò che idealizziamo non è altro che il progetto primario delle nostre città, dei nostri paesi e dei nostri piccoli borghi. Non dobbiamo far altro che riscoprire ciò che è già nostro per tradizione, adattandolo ad un vivere più moderno, più tecnologico e più saggio.

La città non è solo uno spazio fisico, ma un organismo vivente con le sue peculiarità e complessità, le sue dinamiche, il suo personale metabolismo. Noi di Villaggio Saggio la pensiamo verde, agricola e artigianale, attiva, circolare, creativa e resiliente, cioè capace di adattarsi al mondo e a restituire alla natura le risorse che ha preso.


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